In un piovoso giorno d’autunno, il giardino di quella villa, magnifico in primavera, si presentava ostile, tra foglie secche e rovi cresciuti a dismisura. Ho così immaginato come potessero cambiare i rapporti tra i personaggi in un contesto dove è stata privilegiata la vita all’aria aperta, condizione di felicità, ma col maltempo segregati dentro una casa piccola, lontana dal centro abitato, ognuno col suo carico di rimpianti, non più soffocabili.

Da lì, tra vita vissuta e numi tutelari di turno - qui certamente Hitchcock o Philip K. Dick, palesemente citati - è cominciata la consueta stratificazione, voci diverse alla T. S. Eliot, a cui debbo anche struttura sinfonica e simboli. Da La terra desolata deriva la contrapposizione tra l’arida alienazione metropolitana e la rigenerazione primaverile della natura, tanto più crudele se l’inverno è rimasto nei nostri cuori. Dai Quattro quartetti il nostro scenario: ecco lo specchio d’acqua dove si alzano i fiori del loto alla luce del sole, ecco il giardino delle rose, in Seconda primavera testimone di un abbraccio dopo un divertito inseguimento.

Quell’apparente serenità cela il turbamento di Hikma per la prolungata assenza di Riccardo, tornato a sua insaputa tra le braccia di Rosanna, ma anche quello di Andrea, finalmente consapevole che al giardino delle rose si accede, come suggerisce Eliot, attraverso la porta che non abbiamo mai aperto…

(f. c.)